Continua il nostro viaggio alla scoperta delle principali avanguardie tattiche che hanno rivoluzionato il gioco del calcio.
Tra la fine dell’800 e l’inizio
del ‘900 il cuore pulsante del calcio si sposta dalle università ai primi
campionati e coppe nazionali. Infatti nel 1871-72 si svolge la prima edizione
della FA Cup, seguita dalla nascita del campionato inglese nel 1888-89. Anche
oltre il Canale della Manica si assiste alla nascita dei primi campionati: nel
1897 in Svizzera, l’anno seguente in Italia, nel 1901 in Ungheria e nel 1903 in
Germania. La composizione di questi campionati oscilla tra le 4 e le 10
partecipanti, spesso non c’è nemmeno un girone unico, ma varie competizioni
locali legate tra loro attraverso dei play-off. Paradossalmente l’innovazione
tattica che per decenni dominerà la scena calcistica proviene da un’Università,
infatti alla Cambridge University viene elaborato il primo vero modulo della
storia del calcio, la Piramide di Cambridge.
La Piramide di Cambridge
La piramide di Cambridge o “Metodo” è il primo vero modulo che da un ordine alla disposizione in campo degli
undici giocatori, disponendoli su tre linee di gioco (difesa, centrocampo e
attacco). Lo schieramento si configura con un 2-3-5. Davanti al portiere solo
due difensori presidiavano la porta, restando solitamente molto bassi e stretti,
non preoccupandosi di difendere l’uomo, ma lo spazio, cercando di mettere in
fuorigioco l’avversario e dunque utilizzando una difesa a zona. Davanti la difesa
i tre mediani (o metodisti) avevano il compito di far arrivare la palla
recuperata dalla difesa all’attacco. In
alcune interpretazioni del modulo i 3 centrocampisti svolgevano solo la fase difensiva, il
centrale aveva il compito di seguire ad uomo gli inserimenti centrali e i due
centrocampisti laterali di limitare il gioco sulle fasce per poi risalire il
campo in conduzione. Infine i 5 attaccanti, uno per ogni corridoio verticale
del campo, col compito di sviluppare una trama di gioco per segnare.
Questo modulo era stato studiato per aumentare l’associatività del gioco e migliorare l’interazione tra i reparti, dando collettività al gioco. I soli due difensori potrebbero far pensare che l’idea di calcio di allora fosse poco tattica e per lo più votata all’attacco. Questo perché il fuorigioco al tempo prevedeva che ci fossero 3 e non 2 giocatori tra l’avversario e la linea di fondo del campo al momento del passaggio (ovvero 2 difensori tra avversario e portiere). In questa fase del gioco del calcio l'identità tattica è data più dalla disposizione in campo che dai principi di gioco.
Questo modulo era stato studiato per aumentare l’associatività del gioco e migliorare l’interazione tra i reparti, dando collettività al gioco. I soli due difensori potrebbero far pensare che l’idea di calcio di allora fosse poco tattica e per lo più votata all’attacco. Questo perché il fuorigioco al tempo prevedeva che ci fossero 3 e non 2 giocatori tra l’avversario e la linea di fondo del campo al momento del passaggio (ovvero 2 difensori tra avversario e portiere). In questa fase del gioco del calcio l'identità tattica è data più dalla disposizione in campo che dai principi di gioco.
Sviluppo ed evoluzione
Nel giro di pochi anni il sistema
viene adottato in tutta Europa, ovviamente con interpretazioni differenti e
compiti differenti per i vari interpreti in campo. Infatti la naturale
evoluzione della piramide è il metodo. Questa parziale evoluzione è dovuta al
fatto che dal 1925 l’International Board ha modificato la regola del
fuorigioco passando da 3 a 2 uomini (come è oggi). Il metodo dunque prevede
che i due mediani esterni si abbassino sulla linea dei difensori, diventando di fatto
terzini; invece il centromediano fa da elastico tra i due centrali per chiudere
gli spazi centrali e per garantire un'uscita di palla pulita dalla difesa (in
sostanza, ciò che 30 anni dopo avverrà col libero). Questo fa sì che la squadra si disponga formando due "W" sovrapposte. Uno dei più grandi
interpreti del metodo a livello europeo fu l’austriaco Hugo Meisl, che col suo “Wunderteam”
negli anni ’30 ottenne i migliori risultati della
nazionale austriaca, con la vittoria della Coppa Internazionale del 1932 e la
medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1936. La finale del 1936 però la vinse un
altro profeta del metodo, quel Vittorio Pozzo che tra 1934 e 1938 portò a casa
due mondiali e un oro olimpico (quando il calcio olimpico era equiparato ad un
Mondiale, non a caso gli Uruguagi si definiscono 4 volte campioni del mondo).
Le due formazioni titolari della
Nazionale Italiana campione del mondo nel 1934 (a sinistra) e nel 1938 (a
destra). Giocatori fondamentali nel sistema di gioco azzurro erano le mezzeali
Ferrari e Meazza che collegavano i reparti di centrocampo e attacco. Sul piano difensivo risulta fondamentale il Centro-Mediano ( o "Caudillo" come dicono i sudamericani) che nel 1934 è Luisito Monti e nel 1938 è Andreolo: il loro compito è quello di coprire le uscite laterali dei difensori così da non lasciare spazi centrali agli avversari.
L’interpretazione di Pozzo tende più alla difesa a 5, soprattutto nel 1938,
dove i due centrocampisti laterali diventano terzini a tutti gli effetti per
controllare gli attacchi provenienti dalla fasce e con l’ausilio delle mezzeali,
che fanno da raccordo in fase di ripartenza, si passa ad uno schieramento
tendente al 2-3-2-3.
In serie A
Il metodo, oltre che dalle
Nazionali, viene anche applicato con successo da numerosi club. Tra il 1930 e
il 1935 la Juventus riesce a vincere per 5 volte consecutive lo scudetto,
disponendosi col metodo (o WW); tra i principali interpreti della squadra bianconera
ci sono anche alcuni giocatori che contribuiranno alla vittoria del mondiale
del 1934, quali: Combi, Monti, Ferrari, Cesarini e Orsi. In Italia la Juve
domina, ma in Europa è il Bologna ad imporsi vincendo la Coppa dell’Europa
centrale nel 1932 e nel 1934. Sia Juve che Bologna adottavano lo stesso sistema
di gioco, la superiorità tecnica dei giocatori bianconeri era sufficiente per
vincere il titolo in patria, mentre nelle competizioni internazionali era
l’intensità di gioco dei rossoblù emiliani a fare la differenza per la vittoria.
Nella compagine felsinea, nonostante la presenza di grandi giocatori come
Schiavio, Fedullo e Monzeglio, il giocatore fondamentale per il sistema di
gioco era Donati, il centromediano, l’unico giocatore a giocare le due fasi di
gioco, difendendo in non possesso e contribuendo alla prima costruzione di
gioco una volta recuperato il possesso della sfera.
Mondiali 1950
Gli anni d’oro del metodo
potrebbero essere classificati tra l’inizio del ‘900 fino alla metà degli anni
Trenta. Infatti in quegli anni viene elaborato un sistema di gioco definito "migliore" (anche se non esistono moduli/sistemi di gioco migliori rispetto ad
altri), il WM. Il WM sembra sia perfetto per gestire al meglio le varie fasi
della gara e nel giro di pochi anni si diffonde a macchia d’olio venendo
adottatto in più Paesi da più squadre. Al Mondiale del 1950 delle 13
partecipanti, 12 utilizzano il WM (o sistema). L’unica squadra che si affida
ancora alla piramide è l’Uruguay.
La piramide nella cultura calcistico-popolare
Nella tradizione radiofonica le
formazioni vengono elencate leggendo tre giocatori alla volta, a mo’ di terzina (non so se
avete mai sentito snocciolare una formazione in terzine come: Sarti, Burnich,
Facchetti; Guarneri, Picchi, Benin; Mazzola, Suarez, Jair; Peirò, Corso).
Questa esposizione delle formazioni è mutuata appunto dalla piramide, dove
venivano elencati portiere e due difensori, poi i tre centrocampisti, le due
mezzeali e la punta e infine le due ali.
Infine anche nel Calcio Balilla
la formazione, il 2-5-3, è mutuata dalla
piramide, con l’unica differenza appunto dei 5 centrocampisti, così da avere
parità numerica nella zona centrale del campo di gioco.
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